Storia e geografia del neosuddismo

Per commemorare degnamente l’anniversario della rivoluzione siciliana del 1860 il sito neosuddista «I nuovi Vespri», impegnatissimo nel divulgare la “vera storia” del Risorgimento italiano contro quella che tutti gli storici di tutto il mondo da centosessant’anni scrivono sulla base di fonti e documenti d’archivio, ci svela in un “articolo” pubblicato il 24 maggio, sulla base degli studi di un Giuseppe Scianò il cui curriculum scientifico confesso di ignorare, che nel 1860 in Sicilia agivano (tutte le citazioni tra virgolette sono testuali) «mercenari ungheresi pagati dagli Inglesi che, per conto di Garibaldi, scannavano siciliani e meridionali». E perché li pagavano gli inglesi questi avventurieri? Perché, sulla base delle sue profonde conoscenze di storia economica, ci informa l’autore del testo che «i piemontesi, che in quegli anni, al massimo, allevavano mucche, erano troppo pezzenti per permettersi di pagare i mercenari».

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Cassate per i Mille

I “veri storici” borboniani aprono continuamente nuovi orizzonti, nuove prospettive di ricerca, svelano crimini occultati per secoli e secoli. Chi aveva mai saputo, ad esempio, del saccheggio di Palermo da parte dei garibaldini subito dopo l’occupazione della città nel giugno 1860? A svelare il misfatto è però intervenuto sul sito “parlamentoduesicilie.eu” un signor Vincenzo Gulì, “coordinatore” di quel parlamento, comunicando che tale Giuseppe Scianò, intrepido ricercatore, avrebbe trovato la prova che il 9 giugno 1860 «il criminale Garibaldi» aveva accordato «ai barbari alle sue dipendenze il permesso di saccheggiare la città non più protetta dalle autorità regie». E il signor Gulì si duole delle sofferenze inflitte alla popolazione per ben tre giorni da «sciacalli venuti dal nord» e in particolare per le «scene strazianti» alle quali avrà di certo assistito il suo bisnonno omonimo, collaboratore di quel Salvatore Gulì, al quale va il merito storico di aver inventato la cassata.
L’accusa è talmente assurda che non vi presterebbe fede un bambino di prima elementare.

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I borbonici contro i neoborbonici

L’universo neoborbonico non riesce a spiegarsi il crollo del Regno delle Due Sicilie nell’arco di pochi mesi – la rivoluzione siciliana, riaccesasi nella primavera 1860, conosce una accelerazione improvvisa con lo sbarco dei Mille a Marsala; quattro mesi dopo c’è un governo garibaldino a Napoli – se non attribuendolo ad un complotto planetario che dura ancora oggi, alla corruzione di migliaia di ufficiali borbonici di tutte le armi, e fors’anche al sostegno delle potenze infernali al Piemonte governato da orde di massoni scristianizzatori.
Eppure le cause profonde di quel crollo erano ben note alla sua vigilia anche agli esponenti più fedeli della dinastia. È sufficiente leggere i testi di quel campione del legittimismo che fu Giacinto De Sivo, citatissimo ma scarsamente studiato dagli “storici” accorsi sotto le bandiere del revisionismo alla Antonio Ciano o alla Pino Aprile.

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Landi o del tradimento a credito

Accanto alle neobufale neoborboniche esiste anche una collezione di archeo-bufale ereditate dalla pubblicistica legittimista e clericale in lotta contro il Regno d’Italia ma che continuano ad essere allegramente spacciate per ogni dove. A questa categoria appartiene il notissimo «tradimento» del generale Francesco Landi che avrebbe consentito la vittoria garibaldina a Calatafimi.

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