Nitti e i neosuddisti
Tra le vittime illustri della propaganda del neoborbonismo si conta anche Francesco Saverio Nitti,
economista, presidente del Consiglio dei ministri del regno d’Italia, critico severo del malgoverno borbonico.
Eppure Nitti è citato frequentemente quale testimone della veridicità delle panzane che qualche storico fai-
da-te va spargendo per il web o altrove.
È purtroppo il caso classico nel quale di uno studioso si cancellano i meriti e si conservano soltanto gli errori.
In verità l’economista lucano era impegnato agli inizi del Novecento in una polemica politica e scientifica
insieme per affermare la sua concezione della finanza statale come strumento di riequilibrio delle
sperequazioni regionali contro chi la concepiva invece come mezzo per assecondare lo sviluppo spontaneo
delle forze economiche (D. De Marco, Prefazione a F. S. Nitti, Scritti di economia e finanza, vol. III, parte I,
La ricchezza dell’Italia, Laterza, Bari 1966, p. XIII).
Nitti presentò l’ammontare del valore delle monete metalliche degli Stati preunitari «ritirate» durante il
lungo processo di unificazione monetaria conseguente all’emanazione della legge Pepoli, approvata il 24
agosto 1862, come unico valore per misurarne la ricchezza nel 1860. Secondo l’improbabile graduatoria
risultante da una tabella da lui pubblicata (Nord e sud. Prime linee di una inchiesta sulla ripartizione
territoriale delle entrate e delle spese dello stato in Italia, Torino 1900, p. 136), lo stato italiano più ricco
sarebbe stato il regno borbonico con il 65,7% della ricchezza totale, al secondo posto si sarebbero piazzati gli
Stati pontifici con il 14%, al terzo il Granducato di Toscana con il 12,9%. In fondo alla graduatoria il
Lombardo-Veneto con poco più del 3% del totale. La semplice completa lettura del testo dimostra in modo
evidente che si trattava di una forzatura polemica: era proprio Nitti a insegnare che «la ricchezza nazionale è
costituita dall’insieme della ricchezza pubblica e della ricchezza privata» (Ivi, p. 14) e ad affermare che
l’accumularsi della grande ricchezza monetaria nel Sud si doveva al fatto che «il paese […] non aveva cultura
economica e nemmeno educazione industriale: risparmiava sotto la forma primitiva» (F. S. Nitti, Nord e sud.
Prime linee di una inchiesta sulla ripartizione territoriale delle entrate e delle spese dello stato in Italia,
Torino 1900, p. 136).
D’altronde che quella classifica fosse irrealistica sarebbe apparso chiaro in tempi recenti perfino a Nicola
Zitara, acerrimo nemico dell’unità d’Italia e inventore del «borbo-marxismo a zona», che, sulla base dei dati
forniti da Giuseppe Sacchetti (G. Sacchetti, Della coniazione monetaria e delle monete italiane nel secolo
XIX, Spargella, Vigevano 1873, p. 173: Quadro B. Riassuntivo delle monete presunte in circolazione alla
promulgazione della legge 24 agosto 1862 negli ex Stati italiani costituenti l’attuale Regno d’Italia)
riconobbe – cito testualmente – che «era letteralmente impossibile che nell’area sabauda, nel Lombardo-
Veneto, nei Ducati la circolazione fosse così striminzita come i ritiri finali mostrerebbero» (N. Zitara, L’unità
truffaldina, e-book consultabile in rete, pp. 162-163). E infatti i dati forniti dal Sacchetti davano una
circolazione metallica di 464.063.950 nel Regno delle Due Sicilie contro i 182.171.629 del regno sabaudo, i
223.374.840 del Lombardo-Veneto, i 97.081.080 degli Stati Pontifici e così via, esclusa beninteso ogni altra
forma di valuta e non comprendendo nel calcolo ogni altra forma di ricchezza pubblica o privata che fosse.
Sarebbe stato sufficiente analizzare i dati relativi alle attività manifatturiere e commerciali dei singoli stati
per comprendere quanto la tabella di Nitti non fosse credibile. Quelle cifre sbagliate continuano però a essere
spacciate dal mondo neoborbonico come verità assoluta. Particolarmente negativo, devo segnalare, è il ruolo
svolto a questo proposito da un libro elettronico, «Il Sud e l’Unità d’Italia» di uno storico dilettante, Giuseppe
Ressa, centone delle neoborboniche invenzioni diffuso purtroppo attraverso un sito affidabile e serio come
«Il brigantino. Il portale del Sud», circostanza che è valsa ad accreditarlo come testo attendibile e a
facilitarne una altissima diffusione.
P.S. Napoli ha una grande storia e può allineare solo per restare a epoche vicine geni assoluti come Renato
Caccioppoli e Eduardo, poeti come don Salvatore Di Giacomo, musicisti di fama internazionale. È offensivo
che si presentino come “difensori dell’onore napoletano” semi-analfabeti capaci solo di biascicare
“mezzerecchia, ‘e saboia” e simili scempiaggini, a imitazione dei loro confratelli della Lega padana in formato
simil-Borghezio.
Chiedi: è possibile fare un confronto sulla base del numero di monete circolanti? Avevano lo stesso valore?
Grazie per il vostro contributo alla verità storica contro la vergognosa campagna di consapevole disinformazione ddi neoborbonici