Bufale

Il pizzo di Garibaldi

Avete mai visto le foto di Garibaldi con la coppola in testa e una doppietta caricata a lupara a tracolla? No? Le avranno secretate gli storici “di regime”, prezzolati da Nino Bixio e dalla massoneria internazionale per impedirvi di conoscere la “vera storia” della spedizione dei Mille. Per fortuna provvide un collaboratore di giustizia, tale Antonio Patti, a svelare questo clamoroso segreto: non solo il condottiero dei Mille ebbe rapporti di collaborazione con la mafia in Sicilia, ma prima di farlo “anche Garibaldi pagò il pizzo”1.

Così titolava oltre un quarto di secolo fa l’edizione palermitana del quotidiano «La Repubblica» riferendo le “rivelazioni” del Patti che, tra i dettagli di un omicidio e l’altro, aveva svelato questo occulto patteggiamento di quasi centoquarant’anni prima. Ma quali erano le fonti di Antonio Patti? L’avevano informato – riferì – anziani boss mafiosi, che a loro volta avevano appreso dai nonni e dai bisnonni, anch’essi membri di “famiglie” di Cosa Nostra, che Garibaldi «per sbarcare in Sicilia e attraversare Marsala e Salemi» aveva dovuto pagare una somma della quale purtroppo il testimone non conosceva l’ammontare né se fosse stata versata in lire del Regno di Sardegna, in ducati napoletani o in piastre turche.

Questa sarebbe perciò la “vera verità” dei bisnonni degli amici del signor Patti sullo sbarco dei garibaldini: Garibaldi attracca con il “Piemonte” a Marsala, un emissario della mafia, inviato dal Totò Riina dell’epoca debitamente informato preventivamente del luogo, del giorno e dell’ora di arrivo, sale a bordo, presenta le sue credenziali, contratta e incassa il compenso – ed ecco finalmente svelata la ragione del ritardo dei comandanti delle navi borboniche giunte al largo di Marsala nell’aprire il fuoco: aspettavano che si concludessero le trattative, i birichini! – e poi rilascia alle camicie rosse il permesso di sbarcare e forse anche un “pass” per il loro giro in provincia.

Ad annegare nel ridicolo anche per gli sprovveduti le velleità storiografiche del Patti intervennero subito i chiarimenti forniti dagli storici di professione. Massimo Ganci, professore di storia nell’Università palermitana, debitamente intervistato dai giornali palermitani sulla storia “secondo bisnonni” spiegò che non solo non esisteva alcuna prova diretta, indiretta, circostanziale, trasversale o come si voglia di quelle fantasie ma che palesemente non si poteva dar loro alcuna credibilità se appena le si confrontava con le fonti dell’epoca. E com’era logico quella storiella finì lì.

Allora però non era ancora entrato in attività il circo neoborbonico, neo-indipendentista, neo-suddista, neo-tutto che oggi invece esiste, ha prodotto alcuni storici “fai-da-te” e ha prontamente ripescato le pattiane “rivelazioni” garantendone la veridicità. Perché poi «la mafia», che si vorrebbe interessata a favorire l’impresa garibaldina, avrebbe dovuto farsi pagare per agire anche a proprio vantaggio è un’acrobazia logica che sfida perfino i bizzarri cervelli neoborbonici. E tuttavia non dimentichiamo che Patti era, come avrebbe detto Marco Antonio, «uomo d’onore». E dunque la sua garanzia sulla parola degli antenati è valida, validissima, aurea, le si può credere ciecamente e su di essa si possono fondare vispi libelli e pensosi “post” su «Facebook».

Certo, i neo-storici dovrebbero spiegare, oltre il trascurabile dettaglio della mancanza assoluta di fonti sul punto, alcune contraddizioni. Attribuire alla «mafia» ottocentesca i connotati che avrebbe assunto attraverso un processo durato alcuni decenni è un anacronismo che non commetterebbe un ragazzino di scuola media. Sostenere che «la mafia» era nel 1860 allo stato embrionale e poi tentare di far credere che una di queste «cosche», per usare un termine moderno, controllasse militarmente quasi un’intera provincia in modo così ferreo da poter impedire il passaggio addirittura di una colonna di uomini armati è chiaramente una allucinazione, nella migliore delle ipotesi: ma per giungere a questa conclusione bisognerebbe avere almeno un minimo di conoscenza della storia della Sicilia preunitaria.

E non era nel 1996 il caso di presumere troppo da parte di un collaboratore di giustizia, al quale premeva soltanto di rafforzare il suo ruolo di “depositario” della storia mafiosa presente e passata, né lo è in questi anni per taluno dei suoi recenti esegeti, dediti a fantasiose ricostruzioni in cerca di “audience”.

1 F. Viviano, E il bisnonno del pentito disse “Anche Garibaldi pagò il pizzo”, «Repubblica – Palermo», 9-2-1996.

4 pensieri riguardo “Il pizzo di Garibaldi

  • Augusto Marinelli

    Che la storiella del Garibaldi colluso con la mafia fosse ridicola mi sembrava evidente. Ma ero purtroppo certo che comunque sarebbe sbucato qualche complottista a commentare pensosamente di aver finalmente capito la “vera storia”, magari rispolverando la formidabile analogia con la sorte toccata alle truppe italo-tedesche di Guzzoni e Kesselring, in totale 405.000 uomini, sgominate da alcune pattuglie mafiose armate di lupara ma capaci di sgombrare la strada ai 450.000 uomini dell’armata anglo-americana sbarcata all’alba del 10 luglio con un potenziale bellico mai visto prima nella storia militare, e uccidere da sole oltre 9.000 combattenti. Ma bisogna tenere presente che oltre alle doppiette contavano sull’aiuto di maga Magò.

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  • Classica discussione con un revisionista:
    A- “La mafia non esisteva prima dell’Unità!”
    B- “Ma non avevi detto che furono i mafiosi ad aiutare Garibaldi? allora esisteva già da prima…”
    A- “Sì, ma non era potente, giusto qualche bandito!”
    B- “Se ha fatto cadere un intero regno, doveva essere molto potente!”
    (MOMENTI DI SILENZIO…)
    A- “Comunque i Mille da soli non potevano farcela senza i mafiosi!”
    B- “E infatti furono aiutati da molti meridionali, è cosa nota…”
    A- “Erano tutti mafiosi!”
    B- “Difficile credere che migliaia e migliaia di meridionali fossero tutti mafiosi, pure offensivo; inoltre, se lo Stato borbonico fosse stato così forte non sarebbe comunque caduto in pochi mesi.”
    STOP

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  • Giuseppe Garibaldi

    Sono degli Ignoranti caproni, basta conoscere la storia, e la presenza delle navi inglese nel porto di Marsala durante lo sbarco che impedivano alle navi borboniche, fuori porto a sparare. Vi consiglio di leggere le memorie di Garibaldi che ringrazia questi signori degli oceani.

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    • Lo stesso Garibaldi nelle sue memorie narra che dei vascelli britannici ormeggiati a Palermo non lo aiutarono quando era a corto di munizioni durante la presa della
      città. E ciò contraddice la tesi del complotto inglese.

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