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I treni fantasma di Nicola Zitara

Uno dei trofei sventolati dal mondo neoborbonico per rivendicare il maggior sviluppo industriale del regno di Ferdinando II rispetto agli altri stati preunitari è la “vendita” di locomotive e carrozze ferroviarie prodotte nello stabilimento di Pietrarsa al Regno di Sardegna. Si tratta in realtà di una menzogna costruita cinicamente ad arte da Nicola Zitara («L’Unità truffaldina», e-book consultabile in rete, p. 125, nota 59), e diffusa da un’abile propaganda sulla rete o attraverso testi redatti da dilettanti in cerca di notorietà. Zitara sostiene di aver ricavato quella notizia dal volume «Il centenario delle Ferrovie italiane 1839-1939», Roma 1941. Un centone neoborbonico pubblicato online (G. Ressa, Il Sud e l’Unità d’Italia) per eccesso di zelo fornisce anche i numeri delle pagine che conterrebbero la presunta notizia (106, 107 e 139) e aggiunge, di propria iniziativa, che la vendita delle prime sette locomotive avvenne nel 1846 cioè prima ancora che fossero costruite. In realtà quel testo, pubblicato dall’I.G.D.A. di Novara nel 1940, a p. 106 si limita a riportare i nomi del primo gruppo di locomotive prodotte a Pietrarsa, indicandone il numero in sette, informa che dopo il 1850 (rectius dal 1853) se ne costruirono altre dieci e che nel 1859 venne avviata la costruzione di altre tre. Infine a p. 338 (ne allego la scansione perché possa rendersi conto del trucco perfino un neoborbonico medio) si precisa che le prime locomotive furono consegnate «alla Reale Strada Ferrata Napoli-Capua». Ovviamente della pretesa vendita non si dice nulla visto che non ci fu mai.

La notizia relativamente sia al numero che alla destinazione, è confermata da una fonte ufficiale borbonica, il volume Disamina eseguita dal Reale Istituto d’Incoraggiamento de’ saggi esposti nella solenne Mostra industriale del 30 maggio 1853, Napoli, Stabilimento tipografico di Gaetano Nobile, 1855, p. 150, liberamente consultabile su google.books.

Insomma da Pietrarsa uscirono dal 1846 al 1860 venti locomotive in tutto – come risulta anche dal resoconto dell’attività dell’opificio fornito dal suo direttore Luigi Corsi nel 1861 per sottolinearne i risultati – insufficienti perfino per il normale traffico sulla linea ferroviaria in esercizio in Campania, figurarsi se era possibile esportarne. Per abboccare a questa fandonia, comunque, bisogna essere molto di bocca buona.

P.S. Smentire in maniera documentata le menzogne diffuse dalla propaganda neoborbonica per finalità che qui non è il caso di descrivere è un dovere civico. Ma sarebbe davvero paradossale che queste notizie venissero adoperate da qualche squinternato per diffondere pregiudizi di matrice leghista (i meridionali odiano i settentrionali! La cultura del lavoro c’è solo al nord!) che sono speculari rispetto alle pericolose sciocchezze diffuse dai seguaci di Ferdinando II.

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