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Gli inglesi offrirono Marsala a Garibaldi?

Le circostanze nelle quali avvenne lo sbarco dei Mille a Marsala l’11 maggio 1860 furono immediatamente oggetto di una violenta polemica circa il presunto ruolo determinante che vi avrebbero giocato due vascelli della flotta da guerra britannica, l’Argus e l’Intrepid, ormeggiati in rada, e che avrebbero – con modalità non meglio precisate – impedito alle navi dell’Armata di mare napoletana sopraggiunte di lì a poco, la corvetta Stromboli al comando di Guglielmo Acton ed il vapore Capri al comando di Marino Caracciolo, di bloccare, o almeno di contrastare efficacemente, lo sbarco stesso con il tiro dei loro cannoni.

Ma la ragione dell’invio dell’Argus a Marsala da parte dell’ammiragliato britannico risulta – secondo le fonti contemporanee – l’azione di disarmo della comunità inglese nella cittadina eseguita dal generale Letizia nei giorni precedenti, azione che aveva indotto il vice console inglese Cossins a chiedere la protezione del proprio governo data la situazione di instabilità e le minacce di disordini ad opera di bande armate che agivano nei dintorni. Ancora il 14 maggio, dopo dunque lo sbarco della spedizione garibaldina, Cossins richiedeva al console in Palermo, Goodwin, il ritorno a Marsala dell’Argus affermando che i suoi compatrioti non si sentivano sicuri senza protezione «sapendo per certo che una grossa banda di cattivi soggetti vagava cercando di rubare» (N. Musarra, a cura di, Marsala e l’unità d’Italia, Centro internazionale di studi garibaldini, Marsala 2010, pp. 142-143).

A contestare l’intervento della «Mediterranean fleet» per l’asserita protezione delle navi garibaldine intervenne fin dal 12 maggio il governo di Francesco II con una nota inviata dal Carafa, ministro degli Esteri delle Due Sicilie, ai rappresentanti delle potenze accreditate a Napoli, e in particolare al plenipotenziario inglese John Elliot. Vi si denunciava l’azione garibaldina come «un fatto della più strana pirateria […] consumato per parte di un’orda di briganti pubblicamente arruolati organizzati ed armati» sotto gli occhi del governo piemontese. Si sottolineava che le navi della crociera borbonica, sopraggiunte a Marsala poco dopo il Piemonte e il Lombardo, erano state costrette a sospendere il bombardamento dei garibaldini in fase di sbarco per consentire alle navi britanniche giunte nel porto poche ore prima di richiamare a bordo i loro ufficiali che si trovavano a terra; quando era stato possibile riprendere l’azione di contrasto, era ormai troppo tardi per arrestare l’invasione. Si proclamava infine che la responsabilità delle conseguenze di quell’atto di pirateria compiuto in violazione del diritto internazionale, e che avrebbe potuto precipitare l’Italia intera «nella più sanguinosa anarchia» e scuotere l’ordine europeo, sarebbe ricaduta sui suoi autori, sui suoi istigatori, sui suoi sostenitori e sui suoi complici (La nota di Carafa è parzialmente riprodotta in E. Di Rienzo, Il Regno delle Due Sicilie e le potenze europee 1830-1861, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2012, p. 146).

Al di là delle ambiguità e dei sottintesi imposti dal linguaggio diplomatico, l’accusa ai capitani inglesi era netta. A sostegno della posizione napoletana si mosse subito il governo russo, con una formale protesta presentata all’ambasciatore inglese a Mosca da parte del ministro degli Esteri Gorciakov, mentre anche il governo di Napoleone III sollecitava a Londra spiegazioni sull’accaduto.

La tesi dell’intromissione britannica nella vicenda siciliana fu peraltro smentita dallo stesso ministro napoletano Carafa con una nota diffusa il 26 maggio nella quale riconosceva che il Real Governo avesse mai avuto «intenzione […] di attirar […] il biasimo e la responsabilità delle operazioni della Real Marina sui due legni britannici», riconoscendo «francamente che, né con intenzione né senza, quelli Uffiziali della Real Marina Britannica avessero preso parte alcuna di poter impedire o ritardare le operazioni dei legni napolitani» (M. Gabriele, Sicilia 1860, Roma 1991, p.21).

I rapporti sui fatti di Marsala dei comandanti della marina borbonica, che il Luogotenente Generale principe di Castelcicala aveva trasmesso a Napoli il 13 maggio 1860, non furono mai resi noti. La Commissione d’inchiesta sul loro operato, promossa dal governo di Francesco II e composta dal contrammiraglio Vincenzo Lettieri e dal capitano di vascello Eugenio Rodriguez, li assolse pienamente da ogni accusa. L’unica osservazione formulata a carico di Acton dallo stesso Castelcicala in un rapporto inviato a “S.M. il Re” il 13 maggio fu che «la sua condotta avrebbe dovuto essere più ardita». D’altronde, a smentire la tesi del coinvolgimento dell’Argus e dell’Intrepid bastava la semplice osservazione che i loro ufficiali erano a terra all’arrivo delle Camicie Rosse e dunque nessuno avrebbe potuto comandare la manovra, sicché né l’uno né l’altro si erano mossi dal loro ancoraggio durante l’azione, e dunque non avevano certo potuto coprire il campo di tiro ai due legni di Francesco II.

Si dimentica spesso, o probabilmente lo si ignora, che a Napoli bruciava ancora l’ingloriosa conclusione della vicenda del Cagliari e dunque ai comandanti della crociera napoletana incaricati di contrastare ed impedire lo sbarco dei Mille sulle coste siciliane era stato ordinato di bloccare la spedizione in mare e di condursi col massimo garbo nei confronti di eventuali navi straniere: ordini confusi, più che sufficienti a spiegare le incertezze e le esitazioni grazie alle quali l’approdo garibaldino poté svolgersi senza incontrare grossi ostacoli.

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