Giuseppe Garibaldi

Dalla Russia, per Garibaldi

Accade talvolta di trovare su alcuni siti redatti da personaggi dall’italiano improbabile, ma per autocertificazione profondi conoscitori di tutte le lingue del globo, affermazioni perentorie sulla disistima che – garantiscono con sussiego – circonderebbe la figura di Garibaldi a livello mondiale. Nei cinque continenti, garantiscono, il nome del condottiero nizzardo è sempre stato usato come un insulto.

Poi capita di aprire – la moda imporrebbe di dire, di “riaprire”: ma io non l’avevo letto – “Passato e pensieri” di un grande scrittore russo, Alessandro Herzen, e di leggere questo ritratto del futuro condottiero della rivoluzione siciliana del 1860 (Einaudi, Torino 1949, pp. 104-105):

Conobbi Garibaldi di persona nel 1854 a Londra, allorché, tornando dall’America del Sud, si ancorò nei Docks delle Indie Occidentali. Garibaldi, con un pesante pastrano chiaro, una sciarpa da collo a colori vivaci e col berretto in testa, mi fece l’impressione del vero uomo di mare più che di quel glorioso condottiero dei volontari romani, le cui statuette, in costumi di fantasia, si vendevano in tutto il mondo. La semplicità bonaria del tratto, l’assenza d’ogni pretesa, la cordialità con la quale mi accolse, disponevano in suo favore. Il suo equipaggio era formato quasi per intero di italiani, egli era il capo e un’autorità, un’autorità severa, ne sono convinto, ma tutti guardavano a lui lietamente e con affetto, erano fieri del loro capitano. […] Intanto nel conversare semplice e alla buona a poco a poco si faceva sentire la presenza d’una forza; senza frasi, senza luoghi comuni, il condottiero di popoli che aveva stupito i vecchi soldati col suo valore, si veniva rivelando, e nel capitano di mare era già facile ravvisare, il leone ferito che, mostrando i denti ad ogni passo, si ritirava dopo la caduta di Roma, e, avendo perso tutti i suoi seguaci, chiamò di nuovo a raccolta soldati, contadini, banditi e chiunque capitasse sotto mano in San Marino, a Ravenna, in Lombardia, nel Tirolo e nel Canton Ticino, per colpire di nuovo il nemico, mentre aveva accanto il corpo della sua compagna, che non aveva resistito agli strapazzi e alle privazioni della campagna. […] Quando salpò per andare a fare carbone a Newcastle e di là si diresse verso il Mediterraneo, gli dissi che la sua vita di mare mi piaceva moltissimo e che fra tutti gli emigrati, egli aveva scelto la parte migliore. […] In quel momento egli m’apparve come un eroe classico, un personaggio dell’«Eneide», attorno al quale, se fosse vissuto in altra epoca, si sarebbe formata una leggenda, un «arma virumque cano».

E gli scrittarelli diffamatori dei personaggi da suburra che cercano di denigrarlo si rivelano ancora una volta per semplice spazzatura

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