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La Sicilia come anima motrice del moto risorgimentale culminato nel 1860

Il Risorgimento in Sicilia è il capolavoro dello storico giarrese Rosario Romeo (Giarre 1924-Roma 1987), una vera e propria pietra miliare della storiografia moderna, l’ultimo grande libro che ha suscitato discussioni accese, perché il “crociano” Romeo, dopo un’attenta analisi sulla Sicilia, (si pensi all’influenza culturale dell’isola che ha determinato il lungo torpore causato dal dominio culturale della filosofia aristotelico-tomista, sino ai primi risvegli verso l’inizio del XVIII secolo con la diffusione delle idee “moderne” del razionalista Leibniz prima e quelle empiriste di Locke poi, sino agli albori dell’illuminismo in Europa) sugli eruditi del tempo e sul ruolo che avrebbe dovuto avere la Sicilia dalle dominazioni dei regni e delle dinastie, sino ai contrasti che ebbe con Napoli, prima con il tentativo di Caracciolo che si scontrò più volte con il Parlamento siciliano,e poi con la sovranità borbonica che per due volte risiedette a Palermo non lasciando trai sudditi siciliani, dopo i primi entusiasmi generali, un buon ricordo della loro presenza in Sicilia; ciò avvenne nel 1799 prima, causa brevissima stagione repubblica partenopea, e poi dal 1806 con i regni di Giuseppe Bonaparte e soprattutto di Gioacchino Murat che diedero il colpo di grazia al feudalesimo meridionale e al dominio dei grandi feudatari nell’Italia meridionale, regni che diedero il la alle riforme politiche amministrative che il regno borbonico fece proprie, dopo la fine dei regni napoleonici in Italia, con la restaurazione borbonica voluta dal congresso europeo che non avrebbe mai accettato la presenza a Napoli di un regno gestito da un prestigioso Maresciallo di Francia di Napoleone come Gioacchino Murat. Ed è anche il libro che spiega secondo i canoni del marxiano”materialismo storico” la situazione economica dell’isola e in particolare della nostra zona, libro che ha una accurata spiegazione bibliografica di ricerca delle fonti, libro, che come ho detto nell’incipit, è diventato famoso a livello nazionale per le tesi antigramsciane sul Risorgimento.

LE CRITICHE ALLE TEORIE GRAMSCIANE

Romeo diceva che Gramsci non faceva altro che riprendere le critiche di Marx a Mazzini, rimproverando alla classe dirigente democratica di non essersi adoperata per la riforma agraria, di avere subito l’egemonia cavouriana, e di essersi appiattita sulle posizione monarchico sabaude per cui, Gramsci, riprendendo un concetto enunciato dal filosofo molisano Vincenzo Cuoco che si chiama rivoluzione passiva (Gramsci applica la sua formazione ideologica, in questo caso bolscevica, in un contesto storico completamente diverso nel quale il politico e pensatore sardo agiva), dimostrando l’irrealizzabilità delle sua tesi perché l’estrema arretratezza dell’agricoltura siciliana e la formazione della borghesia isolana era troppo legata alla terra per cui una Riforma Agraria sarebbe stata impossibile attualizzarla e che solo una elite politica poteva gestire un fenomeno complesso come quello risorgimentale. In compenso, ed è qui il succo della tesi di Romeo, le vicende storiche che hanno determinato nel 1812 la promulgazione della Costituzione Siciliana, per poi essere abolita da Ferdinando Re delle Due Sicilie, -lo stesso sovrano che aveva giurato di difenderla e di sostenerla, prologo di altri spergiuri che la dinastia napoletana farà successivamente e che poi pagherà a caro prezzo, per non parlare dei moti del 12 gennaio 1848-, dimostrarono come la Sicilia sia entrata di diritto nel giogo politico europeo e mondiale al punto da influenzare, come avvenne nella rivolta di Palermo, i moti di Parigi, Berlino, Vienna, Milano etc.. Da quel momento in poi, dal 1848 sarà la Sicilia l’anima motrice del moto risorgimentale sino alla naturale conclusione avvenuta nel 1860. Autore : D. M .

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