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Ferrovie? No, grazie

La carenza di vie di comunicazione costituiva, notoriamente, uno dei maggiori svantaggi per lo sviluppo dell’economia siciliana in epoca preunitaria (e purtroppo anche post; ma questa è un’altra storia). E non sempre la causa era la mancanza di fondi. Il procuratore regio Pietro Calà Ulloa, in un celebre rapporto al suo ministro del 1838, scriveva che malgrado dal 1817 fosse stata imposta nella provincia di Trapani una tassa finalizzata proprio alla costruzione di strade, in oltre vent’anni «non si ebbero che sole tre miglia di via provinciale».

Perfino Ferdinando II comprese che alcuni interventi erano indispensabili nella speranza di ridurre l’insofferenza degli isolani nei confronti del governo napoletano, tanto da istituire nel 1843 una «Cassa di soccorso per le opere pubbliche delle province di Sicilia» grazie alla quale la rete viaria ebbe un qualche impulso: ma se i proprietari degli stabilimenti enologici di Marsala vollero vedere completata la strada, indispensabile per il loro commercio, che conduceva a Trapani dovettero inviare «gratuitamente le genti loro a lavorare nel tracciolino» perché l’opera fosse sollecitamente completata.

A pesare era comunque soprattutto la mancanza di linee ferroviarie, la cui – sia pur limitata – diffusione negli altri stati italiani mostrava chiaramente quale ne fosse l’utilità. Intellettuali e amministratori siciliani cominciarono fin dagli anni Quaranta a premere sulla corte borbonica perché ferrovie si costruissero «nei dominj al di là del Faro». Cesare d’Amico nel 1845 presentò un progetto per la costruzione di strade ferrate senza ottenere alcun riscontro a livello di governo (per maggiori informazioni A. Marinelli, Palermo 1815-1860. L’economia pre-industriale di una ex capitale, Torri del Vento 2018, p. 111). Nel 1857 fu il Decurionato (l’attuale Consiglio comunale) della cittadina di Termini Imerese a sollecitare la costruzione di un tronco ferroviario che la collegasse con la capitale. Ma il Consiglio di Stato, presieduto da S. M. Ferdinando, nella seduta del 27 marzo dell’anno seguente decise che quel “voto” non era «meritevole di alcuna proposizione» (Giornale dell’Intendenza di Palermo, 1858, p. 123). E di traversine sul suolo dell’isola si continuò a non posarne nemmeno un metro fin quando non sopravvenne la rivoluzione del 1860 a cambiare le cose.

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